sabato 21 gennaio 2017

IL CORRIGA RITROVATO: "San Sebastiano"


di Ivo Serafino Fenu

Curatore della Pinacoteca di Oristano


In qualche modo legato ancora all’esperienza fiorentina, del quale costituisce insieme la sintesi e il superamento, è la monumentale tela del San Sebastiano realizzata per la chiesa omonima di Oristano nel 1956. L’opera, sconosciuta ai più e della quale rimane anche un fedele studio preparatorio conservato ad Atzara, sostanzialmente irrisolta soprattutto nell’incapacità di gestire grandi formati, è prova lampante, in questa fase, di un disorientamento dell’artista, ancora in bilico tra istante classiciste e realiste. Si tratta di una produzione “eccentrica” rispetto alla poetica e alle tematiche più conosciute di Corriga e, tuttavia, emblematica per capire elementi importanti in seno alla sua formazione e, soprattutto, rispetto agli ideali umani e artistici anzidetti. Rimossa dall’altare per volontà dell’Arcivescovo di allora – in una vicenda dal sapore guareschiano che ben restituisce, in salsa oristanese, il clima da Guerra fredda di quegli anni –, ci ricorda tuttavia da un lato la passione politica che ha sempre sostenuto l’uomo e, dall’altro, quella robusta formazione accademica acquisita nel decennio precedente. 

Se l’impostazione compositiva del San Sebastiano, lo studio anatomico, i contrasti cromatici rimandano a certo classicismo del Seicento bolognese di marca controriformista, il volto del santo, il cui studio dal vero dell’amico e, anch’egli militante politico e dichiaratamente ateo, Gianni Atzori – ritenutiti intollerabili dalla curia oristanese – presente in mostra, riconduce, viceversa, a quel “senso di realtà” e a quell’amore per il vero che diverranno il leit motiv dell’arte di Corriga. L’opera conferma, dunque, il ruolo dell’artista di mediatore naturale tra la cultura artistica del Novecento italiano, e non solo, e quella sviluppatasi in Sardegna in quegli anni e lucidamente descritta da Salvatore Naitza nel brano su riportato, altresì conferma, sempre utilizzando le sue parole, «una grandiosità pittorica non molto frequente nell’isola» e quella «funzione di innovatore, esercitata, in modi propri, in sintonia con artisti quali Foiso Fois, Libero Meledina, Costantino Spada e non molti altri, nel senso di una storica svolta formale nella pittura isolana a partire dagli ultimi anni Quaranta e soprattutto nel decennio successivo» (S. Naitza 1991).


Tuttavia, per quanto insolita e, a suo modo sfortunata, per le vicende e i contrasti appena descritti, l’opera oristanese sarà la prima di molte e ben più fortunate committenze provenienti da tutta l’Isola da enti religiosi che garantiranno a Corriga un consenso ineguagliato tra gli artisti sardi del Novecento, facendone un vero campione della devozione popolare e che gli consentirono, spesso in formati spettacolari e inusuali e decisamente meglio orchestrati, di dispiegare da un lato quella “grandiosità pittorica” e dall’altro quel robusto legarsi alle realtà locali in una sintesi estetica intrisa di esuberanze barocche ed esasperazioni luministiche capaci di evocare le ombre profonde del Seicento spagnolo.

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